Di seguito il testo della relazione tenuta da Roberto Malighetti in occasione della presentazione del libro di Mimmo Paladino n o n a b i t a p i ù q u i .
A proposito del libro d’arte di Mimmo Paladino intitolato n o n a b i t a p i ù q u i

Roberto Malighetti

 

Sono grato agli organizzatori di questo incontro per avermi dato l’opportunità di uscire dal mio autismo disciplinare ed esercitare uno sguardo antropologico, quindi obliquo e trasversale, sull’opera di Mimmo Paladino intitolata n o n a b i t a p i ù q u i. Attraverso il dialogo fra questo libro d’arte e i miei interessi di ricerca, cercherò di individuare alcune affinità elettive che mi auguro possano tracciare possibili traiettorie di senso.

Innanzitutto, la stessa definizione dell’arte di Paladino come “lento procedere intorno al linguaggio dei segni” è molto vicina, sia da un punto di vista formale, sia per quanto riguarda i contenuti, all’antropologia simbolica che cerco di praticare. Si può dire che questa prossimità attraversi tutta l’opera di Paladino ma sia particolarmente esplicita nella sua pittura ad olio degli anni ’80, permeata di maschere e ricca di evocazioni rituali transculturali che qualcuno ha, impropriamente, definito “primitive”. Le nostre differenti prospettive semiotiche mi sembra condividano, dunque, la dimensione relativizzante e sovversiva dei viaggi attraverso le culture: viaggi che interrogano il pensiero e pensieri che si nutrono di viaggi.

Curiosamente, questi “attraversamenti” che minacciano di decostruire le rigide convinzioni totalizzanti e le ottusità etnocentriche, sono transitati, per lui come per me, attraverso l’interesse sia per le forme simboliche e religiose dei gruppi indigeni brasiliani, sia per la cultura cinese. Da un lato, infatti, la sensibilità antropologica e brasilianistica di Paladino è depositata nelle illustrazioni alla versione tedesca (1989, Bielefeld, Edition Jesse) di un famoso testo di Lévi-Strauss che ha segnato la storia della disciplina e della cultura occidentale: Tristes Tropiques (1955). La produzione di Paladino di libri d’arte, come è noto, si è espressa, altresì, attraverso alcuni grandi classici della letteratura, dalla Divina Commedia di Dante all’Ulisse di Joyce, da La Luna e i falò di Pavese al don Quijote di Cervantes.

Dall’altro la sua ricerca ha pure toccato la Cina, una realtà in cui, da qualche anno, ho spostato il centro dei miei interessi scientifici. Confesso di non conoscere a sufficienza la biografia dell’autore per capire in che modo si sia configurato un suo legame con il Paese di Mezzo. So solamente che Paladino è stato il primo artista contemporaneo italiano a tenere una mostra in Cina, precisamente nel 1994 alla Galleria Nazionale delle Belle Arti di Pechino. Inoltre, registro con piacere la forte traccia cinese elaborata nell’opera che mi accingo a commentare. Avrei potuto intervistarlo per saperne di più a proposito. Tuttavia ho preferito uscire da quella prospettiva logocentrica che ha sempre caratterizzato la mia attività professionale per permettere, in questo gioco di scrittura “festivo” a me insolito, che “il punto di vista del nativo” si potesse esprimere solamente attraverso la sua opera.

La mia fruizione di questo libro d’autore è stata determinata da difficoltà e sollecitazioni simili a quelle che alimentano i miei inefficaci sforzi di penetrare l’impermeabilità cognitiva della Cina, e, attraverso la Cina, la ricerca di dare un senso ad un mondo che spesso penso non abbia alcuno. Fin dalla prima volta che Gregorio Gitti e Giorgio Bertelli mi hanno mostrato il lavoro, in fotografia e poi nella sede della casa editrice L’Obliquo, sono stato immediatamente catturato dalla combinazione alchemica di opacità e fascino che, inesorabilmente, cattura il fruitore, invitandolo alla ricerca e all’esplorazione. Il magnetismo di questa magic box sollecita a interrogare e percorrere la sua profondità materiale e simbolica.

La relazione con quest’opera d’arte è immediatamente guidata da una scritta piuttosto ermetica che appare sulla superficie della “scatola chiusa”: n o n a b i t a p i ù q u i. Aprendo il libro-scatola siamo invitati a seguirne la profondità, attraversando i cartoncini fustellati e stratificati che conducono all’immagine di colore rosso del Presidente Mao Zedong. Questa raffigurazione è prodotta su un legno originario degli anni Settanta, nel periodo centrale della rivoluzione culturale (1966-1976). È stampata su carta bunko-shi ed è composta con la tecnica xilografica cinese e giapponese detta baren (un tampone costituito da un mazzo di fibre di bambù arrotolato a forma di disco, avvolto in una carta sottile laccata e ricoperto da una lunga foglia di bambù; premendo con forza la matrice senza colore si può ottenere un’impressione a rilievo).

L’effige si sovrappone a una colomba rossa ed è ibridizzata dalla sovrapposizione di un simbolo che contraddistingue la tradizione napoletana: o curniciello, l’oggetto scaramantico per eccellenza, “tuosto, vacante, stuorto e cu‘a ponta”. In ceramica e di colore rosso, come deve rigorosamente essere, quello usato da Paladino è fatto a mano secondo la tradizione che vuole che il fabbricante rilasci le sue influenze positive sul simbolo che va a creare. Affinché tale benefici possano essere esercitati compiutamente, questo oggetto apotropaico non va comprato ma deve essere ricevuto in dono.

Si dice che il cornetto sia diffuso anche in altre culture, compresa la Cina. Tuttavia devo rilevare, a questo riguardo, di non aver raccolto alcuna indicazione, nonostante le mie ricerche e dopo aver interpellato inutilmente diversi colleghi antropologi e folkloristi cinesi. Sicuramente o curnciello condivide con la cultura cinese la potente vivacità del colore rosso che a Napoli, come in Cina, rappresenta la vitalità, il sangue, la fertilità. Come è risaputo in Cina il colore rosso è considerato il colore portafortuna per eccellenza, simbolo di felicità, prosperità e fortuna. È utilizzato per i matrimoni e per le nascite, per decorazioni e addobbi: dalle lanterne, alle decorazioni usate per le feste tradizionali, ai piccoli e grandi portafortuna appesi un po’ dappertutto nelle case e nei negozi Cinesi. La stessa parola “rosso”, in Cinese 红, è un aggettivo polisemico che può vantare molti significati quali “popolare” e “di successo”. Il termine viene utilizzato per costruire altre parole composte che hanno tutte connotazioni positive, quali 红 人 (letteralmente “persona rossa”) che significa “stella in ascesa” o “persona in ascesa” oppure 红了, che significa “persona popolare” oppure “persona di successo”.

La mise en scéne di quest’opera riproduce un linguaggio scenografico che Paladino ha coltivato in importanti lavori. La sua qualità fortemente evocativa interroga le espressioni culturali, mostrandone la natura complessa e ibrida, il carattere fittizio e arbitrario, allontanandole dall’autenticità e dalla purezza a cui qualcuno potrebbe volerle consegnare. Pone inoltre interessanti domande critiche al rapporto fra tradizione e modernità così come a quello fra globale e locale. Suggerisce che, contrariamente alle ideologiche astratte, apologetiche e rappacificate, la globalizzazione è un evento necessariamente locale, che si ibridizza e contamina inevitabilmente con le pratiche di attori sociali altrettanto inesorabilmente posizionati e localizzati. Inoltre non è un fenomeno recente avendo attraversato la storia dell’uomo e quindi avendo dato forma alla sua tradizione storica e, di conseguenza, anche alla sua modernità.

La stessa contaminazione fra cultura cinese e cultura partenopea non è cosa recente. Sembra, infatti, che la prima comunità cinese‬ in Italia si insediò a Napoli‬ nel lontano 1724‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬. In tale data un missionario Italiano in Cina, tale Matteo Ripa, ritornò a Napoli con 5 giovani cinesi e istituì nel 1732 il Collegio dei Cinesi, che fu fondato per formare i giovani cinesi al Cristianesimo. È sulla base di questa istituzione che sorse prima il Real Collegio Asiatico e nel 1888, in seguito all’abolizione della sessione missionaria determinata dalla riforma di Francesco De Sanctis del 1878, fu creato l’Istituto Orientale, la prima università in Europa ad aver insegnato la lingua e la cultura cinese.‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬

L’ibridazione della figura di Mao con o curniciello produce l’effetto di allontanare Mao dalla sua classica iconizzazione, già ampiamente consumata ed esaurita dalla pop art (forma d’arte a cui Paladino dedicò la sua attenzione a partire dagli anni Sessanta) da autori come Andy Wahrol e Frank Kozik. L’accostamento dell’immagine di Mao a uno strumento di controllo del destino e alla figura beneaugurante di una colomba rossa, sollecita un posizionamento critico e proiettato verso il futuro che sottrae Mao sia al culto della personalità sia alla sua demonizzazione.

In un certo senso, questa lettura del lavoro di Paladino è coerente con l’estetica della pop art cinese che, a differenza di quella occidentale, non converte oggetti comuni in oggetti sacri, intesi nel senso Durkheimiano come qualcosa di “separato e proibito”. Al contrario, converte oggetti sacri in oggetti comuni e si alimenta di ironia e delle potenzialità creative del discorso metaforico e allegorico. Ci invita a compiere un’inversione simbolica di questo protagonista della storia mondiale che non ha mai cessato di esercitare la sua influenza nel mondo.

Non è un caso che la pop art cinese si sia espressa soprattutto dopo gli incidenti di Piazza Tian’anmen del 1989. I dimostranti del 1989 utilizzarono l’immagine di Mao Zedong nelle loro pratiche quotidiane di protesta, confondendone la sacralità. Fu a partire da quel movimento che alcuni autori dell’avanguardia cinese trasformarono l’immagine di Mao nel soggetto privilegiato della Pop Art, chiamata, significativamente, Mao Pop o anche Political Pop.

Queste forme estetiche riproducono la modalità indiretta del pensiero cinese che si esprime, come ha saggiamente mostrato François Jullien, per mezzo di analogie e metafore e supera, quindi, i limiti del pensiero scientifico logico-matematico. La presunta “imprecisione” non esaurisce la ricerca ma, al contrario, la stimola, permettendo di aprire spazi creativi, inaugurando nuovi punti di vista e mostrando nuovi mondi possibili.

Indirettamente, quindi, interpreto la scritta che sulla copertina è in italiano ma nel leporello piegato e inserito all’interno di una scatola di fiammiferi è invece in lingua cinese:“他 不 住 在 这里 了”. La versione cinese fornisce un elemento in più, e cioè il soggetto della frase, che non compare nella traduzione italiana: un pronome di terza persona singolare maschile (“egli”) di cui è predicato il fatto che “non è localizzato più qui”, “non esiste più qui” oppure “non è più qui”. All’interno dell’opera, troviamo un’altra scritta, riportata sulla scatola dei fiammiferi (che, per inciso, sono invenzioni cinesi, parte di quegli elementi – la carta, la stampa, la polvere da sparo, la bussola – che partecipano alla narrazione identitaria cinese). La scritta recita: 红太阳照亮了工农兵舞 台, traducibile con Il sole rosso illumina il palcoscenico dei lavoratori, dei contadini e dei soldati.

Sapendo che红太阳, e cioè sole rosso, è anche un soprannome del Presidente Mao, non è difficile pensare che “a non abitare più qui” sia quel sole rosso, che illumina il palcoscenico dei lavoratori, dei contadini e dei soldati. Tuttavia, se non abita più quel palcoscenico, non lo fa in maniera ingenua e immediata. O curniciello e la colomba, simbolo di pace e, in Cina, di longevità e di pietà filiale, magicamente tolgono Mao dalla sua localizzazione immaginaria, così come accade alla sua effige che è anche “materialmente” estraibile. A ciascuno dei fruitori l’eventuale decisione di ricollocarlo o lasciarlo τόπος. Ciò che conta è la sollecitazione obliqua e trasversale che produce. Ibrida tradizioni, provoca le nostre convinzioni e ci regala l’auspicio di riuscire a superare i nostri limiti, non abitarli, ma aprirli, scomporli, modificarli e lasciare che scuotano e confondano le nostre emozioni e i viaggi dei nostri pensieri.

 

Roberto Malighetti 马力罗 PhD

Full Professor Cultural Anthropology
Director PhD Program Anthropology of the Contemporary
Director CREAM (Centro Ricerche EtnoAntropologiche Milano)
Department of Human Sciences and Education
Università degli Studi di Milano-Bicocca
U6 building, #4097
Piazza dell’Ateneo Nuovo 1
20126 Milano, Italy

Visiting professor Università Bocconi, Milano.

Visiting professor Minzu University of China (Beijing).

http://www.formazione.unimib.it/persone/roberto-malighetti/

https://unimib.academia.edu/RobertoMalighetti